Rankin Bass Lo Hobbit (1977) - Innamorarsi di un vecchio classico
Correva l’anno 2002 quando ricevetti in regalo la videocassetta de “La Compagnia dell’anello”. Ai tempi non avevo mai sentito parlare del Signore degli Anelli o di J.R.R Tolkien, ma fin dall’annuncio del film ho sentito comunque persone entusiaste tra miei compagni di scuola o amici di famiglia, che erano ben più navigati di quanto lo fossi io a quell’età. Ero parecchio curioso perché già allora avevo tantissimo interesse per il mondo fantasy, ed ero decisamente contento del regalo che avevo ricevuto.
Quel film mi ha stregato fin da subito. L’introduzione mi aveva catturato non solo con la stupenda introduzione di Galadriel, ma anche con la tremenda battaglia che ha visto elfi e umani opporsi alle imponenti armate di Mordor. Mi affezionai subito ai personaggi, ero terrorizzato da creature come i Nazgul o il Balrog, e l’inaspettato tradimento di Saruman mi teneva in guardia su chi altri nella compagnia potesse puntare a prendere l’anello.
Quando finì la videocassetta e scoprì che eravamo ancora all’inizio di una storia molto longeva, ci rimasi di sasso. Da allora feci in modo di essere sempre presente al cinema per i seguiti. Il Signore Degli Anelli è da allora diventata una delle mie opere preferite in assoluto. Nonostante tutto però la mia esperienza con Tolkien è sempre stata limitata a questa trilogia, non ho mai avuto interesse per espandere i miei orizzonti verso altre opere della terra di mezzo, o almeno così è stato fino a pochi anni fa…
Primo Approccio con Lo Hobbit
Passarono dieci anni quando fu il turno di “Un Viaggio Inaspettato”, il primo film dedicato a Lo Hobbit. Allora non avevo ancora recuperato l’opera originale, perché sono stato sempre terribile a leggere, ma ricordavo di essere entusiasta di vedere come avrebbe potuto paragonarsi alla trilogia precedente del “Signore degli anelli”... E il risultato non fu dei migliori.
Ricordo che arrivai alla fine del film completamente spento: quello che avevo visto non era necessariamente il peggior film del mondo, ma una delle cose migliori della trilogia originale erano i suoi stupendi effetti visivi, e qua in questa versione tutto sembrava sbagliato. Mi sembrava di vedere costantemente attori davanti ad uno sfondo finto, e la computer grafica in alcuni punti tremendamente palese.
Qualcosa anche nella scrittura non tornava: nessuno dei personaggi riusciva a rimanermi impresso come quelli della trilogia originale. Niente da togliere a nessuno degli attori, penso anzi che Martin Freeman fosse perfetto per il ruolo di Bilbo, ma c’era qualcosa che sentivo mancare e non penso che sia del tutto legato al fatto che ero dieci anni più vecchio e sicuramente meno impressionabile e più critico o cinico.
Quel primo impatto fu talmente mediocre che non solo non ho più rivisto il film da allora, non trovai nemmeno le energie di continuare con la visione degli altri due film quando uscirono, e il costante clima di negatività online generale non ha aiutato ad invogliarmi, tra chi ha odiato le parti aggiunte che non erano nel libro, ed il tono non sembrava per niente quello dell’opera originale. Ancora adesso nel mio circolo di amici, che hanno effettivamente visto i film, salta sempre fuori l’argomento di come questi film fossero una totale delusione.
Il punto di svolta
Passarono ancora altri dieci anni, e in quel periodo stavo iniziando a muovere i miei primi passi verso l’essere più costante nella lettura. Penso che sia stato dopo una delle ennesime discussioni a tema Tolkien che decisi di fare un salto in libreria e recuperare per me sia “Lo Hobbit” che “Il Silmarillion", in modo da finalmente leggerli per la prima volta.
Lo Hobbit è stato davvero un lampo da leggere: si vede come questa era intesa per essere una storia più fiabesca e leggera. La storia di un uomo chiuso nel suo ciclo di monotonia che viene trascinato verso un'avventura che finirà col segnarlo per il resto della sua vita. Una storia dove Bilbo ha l’opportunità di scoprire il suo coraggio latente, innamorarsi delle terre fuori dalla sua amata contea, dimostrare ai suoi compagni nani di non essere solamente un peso per il gruppo, e quando finalmente il viaggio finisce e torna a casa sa di non essere più la stessa persona di quando è partito.
"È un'impresa pericolosa, Frodo, uscire dalla tua porta.
Metti piede sulla strada, e se non tieni i piedi ben saldi,
non si sa dove potresti essere trascinato."
Ed è stato in quel momento dopo aver finito il libro ed averlo apprezzato così tanto che ho avuto un lampo, e ricordai che vi fu un adattamento animato per Lo Hobbit! E preso dalla curiosità mi sono mosso per riuscire a reperirlo, e se vi siete mai chiesti nella vostra vita se sia possibile ancora innamorarsi di un cartone animato a 30 anni suonati, questo cartone mi ha dimostrato che sì, è possibile.
Rankin Bass Lo Hobbit
Già a vedere la prima immagine molti di voi saranno scettici a pensare che questo cartone possa essere in qualunque modo un adattamento di qualità, e riconosco che il primo più grande scoglio da dover superare sia appunto il comparto artistico. Si tratta di design che sono decisamente radicati in una estetica vecchia che al giorno d’oggi può essere difficile da digerire, ma non penso che sia del tutto priva di meriti.
In primis trovo i fondali assolutamente stupendi. Hanno uno squisito stile acquerellato e riescono a rendere tutte le location estremamente evocative: sia dalla piccola e verde contea, fino alle tetre caverne delle montagne nebbiose e le immense stanze del tesoro della montagna solitaria.
Per quanto lo stile di disegno non sia esattamente il mio preferito, penso che alcuni personaggi sono stati resi davvero bene. Bilbo ha un aspetto spaesato e innocente che si sposa molto bene col suo sentirsi costantemente un pesce fuor d’acqua, Gandalf sa essere visivamente imponente col suo essere così alto rispetto al resto del party, e mi trasmette lo stesso sentore di vecchio saggio che mi sapeva trasmettere anche Ian McKellen. Anche Thorin incapsula perfettamente l’aspetto da nano burbero e austero che ha solo in testa il suo obiettivo.
È stato anche molto interessante vedere come venissero rappresentati i goblin delle montagne e anche Gollum. Non solo i goblin esulano molto dall’immaginario comune attuale con quelle loro enormi bocche, zanne e alcuni di loro han persino delle corna, ma anche Gollum ha un aspetto che mi trasmette quasi anfibio: è bello vedere alcune interpretazioni che esulino dall'iconica rappresentazione dei film di Peter Jackson.
Certe scelte stilistiche però non sono state altrettanto felici o non sono state rese molto bene. Thranduil e gli elfi di Bosco Atro che ricordano più dei folletti è stata la scelta più peculiare, e ha lasciato interdetto anche me. E nonostante non riesco ad odiarlo, Smaug, con la sua testa da gatto attaccato al corpo di un drago, a volte è più comico che intimidatorio… Tra i miei amici lo chiamo Smiaowg.
A sopperire completamente alle carenze del compartimento artistico abbiamo un comparto sonoro assolutamente eccezionale, non solo in termini di colonna sonora ma anche di doppiaggio. Tutto il doppiaggio ha uno stile molto teatrale e non vi è un doppiatore che mi è sembrato fuori posto per il personaggio che gli è stato affidato. Orson Bean ha la perfetta voce innocente e smargiassa per Bilbo, Richard Boone col suo tono potente e cavernoso è perfetto per Smaug e John Huston nel ruolo di Gandalf ha quella voce solenne che mi fa pendere a ogni sua parola ogni volta che apre bocca.
A coronare il tutto vi è la fantastica colonna sonora composta da Maury Laws. Fin dai primi momenti ha il perfetto tono per le note allegre che presentano Bilbo nel suo piccolo buco-Hobbit, per poi immediatamente staccare verso un tono più solenne e tetro quando Gandalf compare per condurlo all’avventura. Vi sono anche tante canzoni che vengono adattate da poemi presi direttamente dal libro di Tolkien con risultati stupendi. Ho apprezzato molto anche come alcuni degli indovinelli tra Bilbo e Gollum siano stati inseriti in una canzone molto cupa.
Il tema principale “The Greatest Adventure” è la perfetta incapsulazione dei temi di questa storia, una canzone che esorta l’ascoltatore a cogliere l’attimo e compiere il primo passo, non farsi frenare da paura, smettere di pensare, rompere le catene della monotonia e prendere il controllo della tua vita.
L’uomo sognatore che non coglie occasione
che pensa ad un mondo che è solo immaginazione
Mai conoscerà passione, mai conoscerà dolore.
Colui che siede alla finestra, un giorno vedrà la pioggia.
Una delle mie scene preferite in assoluto è quando viene narrata la storia del Re sotto la montagna e di come il suo regno è crollato per mano di Smaug. Il coro solenne dei Nani, la narrazione in rima come se fosse un antico poema, accompagnato da un sottile arpeggio di chitarra, sono assolutamente memorabili. E alla fine di tutto ci sentiamo esattamente come Bilbo, trascinati dalla storia dall’inno dei nani verso la loro montagna solitaria e sentire il richiamo dell’avventura. Questa sequenza ogni volta che la vedo mi provoca la pelle d’oca.
E penso che sia il momento di parlare dell’effettivo succo di questo film, come funziona come adattamento de Lo Hobbit? A mio parere molto bene, ma non è perfetto.
Il ritmo è molto incalzante e veloce, forse anche troppo a tratti, ma molti dei punti più importanti della storia sono stati rappresentati molto bene. Il tono generale è anch’esso gestito bene riuscendo a rendere al meglio sia i momenti di tensione che i momenti solenni, e anche a spezzare tutto con un pò di allegria e umorismo quando serve, ma senza degenerare in una farsa.
Bilbo mi è piaciuto tantissimo com’è stato rappresentato come questo giovane spaventato che diventa sempre più spavaldo e ingenioso col proseguire dell’avventura. Vi è una scena molto bella nella ricerca dell’uscita da Bosco Atro, dove Bilbo cerca di arrampicarsi sulla cima di un Albero e vede l’enorme distesa della foresta nel cielo azzurro e ne rimane estasiato. Ed è in quel momento in cui riconosce che questo viaggio lo sta cambiando profondamente.
“Vi sono momenti che possono cambiare una persona per sempre.
E d’improvviso mi son chiesto se avessi mai visto nuovamente il mio comodo buco Hobbit.
Mi sono chiesto se avessi effettivamente voluto.”
Gandalf trasuda presenza e autorità e col suo costante pronto intervento. Consegnare lentamente oggetti importanti al gruppo e insegnargli a cooperare prima di essere costretto ad abbandonarli mi fa pensare ad una specie di personaggio del Dungeon Master, che culla il suo gruppo di giocatori a muovere i primi passi prima di lasciare che se la cavino da soli.
Thorin è forse il personaggio che ha più sofferto di questo adattamento: non vi è lo stesso tipo di complicità e fiducia che si instaura lentamente tra lui e Bilbo durante il corso di questa avventura. Tendono invece ad enfatizzare molto il suo pesante orgoglio e la sua fissazione col reclamare il trono sotto la montagna, in particolare la sua avarizia verso il tesoro.
Essendo un film di appena 78 minuti è stato arduo riuscire a racchiudere l’opera nella sua interezza, e infatti vi sono omissioni che si potrebbero anche considerare gravi: come l’assenza totale di Beorn, e la totale rimozione dell’Arkengemma, oggetto importantissimo nel libro che è stato la causa principale della rottura del rapporto tra Bilbo e Thorin, prima della grande battaglia finale.
Questo adattamento enfatizza molto come la battaglia delle cinque armate sia per lo più una guerra dettata puramente da avarizia. Il drago è morto, il suo tesoro è libero, tutti ne vogliono una parte e nessuno vuole cedere. Vi sono sicuramente fazioni che hanno ragioni migliori di altre, ma per quanto nobili possano essere le tue intenzioni, non c’è niente di davvero nobile nella guerra.
L’intero spezzone dura poco più di cinque minuti ma, per quanto estremamente affrettato sia, riesce a cogliere l’essenza della tragedia di tale scontro, di come amici siano stati messi l’uno contro l’altro, di come l’avarizia li abbia quasi portati alla distruzione reciproca. Un Thorin morente che riconosce l’errore del suo immenso orgoglio e confessa a Bilbo:
“Figlio del mite occidente,
ho realizzato che se più tra noi dessero più valore al tuo stile di vita,
cibo e risate sull’accumulare oro,
il mondo sarebbe un posto migliore.”
In Conclusione
Non so come mai questo cartone mi abbia fatto l’effetto che mi ha fatto, ma non posso fare a meno di provare un pò quelle emozioni che provavo quando vedevo qualcosa di nuovo per la prima volta da bambino. C’è qualcosa nella musica, nella recitazione o nella storia stessa de Lo Hobbit che mi ha semplicemente catturato e non mi sta lasciando andare.
Vi invito davvero a dargli una possibilità se siete appassionati, e se non avete mai letto lo hobbit, leggete assolutamente anche il libro! Esiste anche una bellissima graphic novel con illustrazioni di David Wenzel che merita di essere letto solo per la componente artistica di altissimo livello.
Forse perchè io stesso sono in un punto della mia vita, in cui mi sento molto come Bilbo a inizio di questa storia, alla ricerca di una grossa svolta ed esitante a varcare la soglia del mio buco hobbit e lasciare la Contea, che questa storia risuona così tanto con me e questo adattamento ha suscitato una tale magia.
E penso onestamente che sia quello il messaggio più importante da estrapolare da questa storia, cogliete la vostra occasione, non aspettate. Gandalf non arriverà a bussare alla nostra porta, dovremmo essere noi a fare questo viaggio fuori dalla porta, qualunque siano le avversità che attendono la fuori è sicuramente meglio vivere una vita piena tra i rischi che una vuota ma comoda.
Se avete già visto questo cartone fatemi sapere cosa ne pensate, se anche lo vedete la prima volta. Quali sono i passaggi che risuonano di più in voi nella storia de Lo Hobbit? Quali sono le altre opere che adorate di Tolkien? Ditemi anche cosa vi è piaciuto della trilogia di Peter Jackson, magari chissà un giorno potrò finalmente decidermi e vedermi tutti quei film e consolidare a pieno la mia opinione a riguardo…
E per quanto riguarda “Gli Anelli del Potere”?
In questa casa di Eru Ilúvatar non si nomina “Gli Anelli del Potere”.
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